Eccellenze d'Abruzzo, De Angelis: "Sul podio chiamatemi direttora"

Le sue mani disegnano nell’aria, la bacchetta riempie di colore il gesto . E la musica si fa affresco. Antonella De Angelis è una delle migliori rarità nel panorama musicale italiano: è un direttore d’orchestra donna

e alle donne – nell’arte, nella vita, nel sociale – guarda con attenzione, esaltandone l’originalità e le capacità a lungo sepolte con il suo lavoro sulla scena. Ritenuta «fra i più interessanti direttori della sua generazione» dal maestro Donato Renzetti, come lei figlio della terra d’Abruzzi e col quale ha studiato direzione d'orchestra, Antonella De Angelis coltiva dalla sua Pescara la passione per la musica e i progetti di contaminazione culturale che poi esporta ovunque e che sempre esaltano le pieghe più nascoste, raffinate e forti del mondo femminile. La principessa Wijidan Al-Hashemi, ambasciatore di Giordania, le ha conferito un prestigioso riconoscimento “Ai sensi della più alta considerazione”, è Premio Dean Martin 2009 “Per la coinvolgente lettura orchestrale, l'ampiezza e la qualità del repertorio e la ricchezza d'intenti volti a divulgare nobili principi umanitari quali la pace, la cultura e l'educazione”, quindi insignita della Medaglia d'oro Premio Suffoletta XXIII edizione 2016 “Per il talento e il coraggio”. E ancora Premio Savinella 2016 Soroptimist International “Per il costante impegno nella promozione della figura femminile e il buon valore della condivisione interculturale”. L’elenco potrebbe continuare a lungo, così come lungo e di spessore è l’elenco delle orchestre che l’hanno vista sul podio. 

De Angelis nasce come flautista, tenendo un'intensa attività concertistica in tutta Italia per le principali società dei concerti con l'Ensembre Bilìtis e il Trio Jeanne Louise Farrenc. Nel 2009 fonda la sua creatura più riuscita e importante, l'Orchestra Femminile del Mediterraneo (Ofm), compagine interculturale composta da artiste di varie nazionalità, e con essa porta avanti obiettivi statutari quali la «Musica per la Pace, la Cultura e l'Educazione». In queste ore in cui si celebra la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, con le “sue” musiciste è impegnata con lo spettacolo di teatro musicale “Rosamara - Storie di donne migranti”, con l'attrice e cantante italo somalo Saba Anglana, l'attrice pescarese Tiziana Di Tonno e l'Orchestra Femminile del Mediterraneo che lei dirige. Una storia suggestiva e incalzante di due donne vissute in epoche differenti, che affrontano il viaggio in cerca di fortuna.

Come preferisce essere definita?

«Non maestro, non maestra o direttrice, ma direttora. Ho precorso i tempi e le indicazioni della Boldrini e ho scelto direttora 4 anni fa, prendendo spunto dalla lingua spagnola. Siamo quello che pensiamo ed è sostanziale che un cambiamento culturale passi anche attraverso la lingua. Ci vuole tempo, un giorno non ci sarà più bisogno di regole protezioniste, come pari opportunità e quote rosa: ma se ho necessità di fare regole è perché non è “naturale” riconoscere meriti e capacità alle donne».

Chi le ha messo in mano il flauto e quando?

«Mio padre, che si chiamava Walter ed era di Bussi, era un appassionato di musica. Una passione che ci ha trasmesso, anche i miei fratelli Italo e Oreste suonano, il primo è un ottimo jazzista l'altro si divertiva con la chitarra e il contrabbasso. Ma ho chiesto io di imparare il flauto, lui amava gli archi, ma era il periodo di Gazzelloni... Con la famiglia, mia mamma Aurora Mussini era di Milano, abbiamo vissuto in Molise, in Toscana e poi a 21 anni mi sono stabilita a Pescara. Ho terminato gli studi di flauto e anche come flautista il mio interesse era rivolto alle donne: nei programmi ministeriali dei conservatori delle compositrici si parla poco o niente, invece ce ne sono di bravissime. Ma anche negli anni Settanta per le donne non era semplice studiare alcuni strumenti, come il contrabbasso, il violoncello, per non parlare di ottoni: si cominciano a vedere ora donne che li suonano in Abruzzo».

Come flautista ha subito suonato con donne?

«Con un trio di flauti e abbiamo girato l’Italia con un repertorio di compositrici italiane, americane e francesi. Paradossalmente ci facevano i complimenti perché eseguivamo “in maniera virile” i pezzi! Ci sono stereotipi duri a morire anche nell’arte: donne ovvero dolcezza, uomo virilità. E poi un altro trio sempre femminile con cui portavamo un connubio di musica e poesia sui colori dell'impressionismo francese. E sono stata per 12 anni primo flauto nell’Orchestra sinfonica di Pescara».

Come è passata alla direzione d’orchestra?

«Ero stata incoraggiata dal maestro Renzetti a 35 anni, poi verso i 38 ho ripreso l'idea alla scomparsa di papà: una volta mi vide lavorare con l’orchestra e mi disse “hai sbagliato mestiere, dovresti dirigere”. Ho deciso di farlo, senza preconcetti e alibi, con grande serenità. Mi dicevo: devo portar fuori il talento e dovrà bastare questo a far ricredere gli scettici sulle donne con bacchetta. Ho cominciato il percorso con Renzetti, che forse qualche perplessità all’inizio l’aveva (ride), diceva: ti sfido a dirigere Wagner, così virile. Poi quando l’ho diretto si sono ricreduti, lui e gli orchestrali».

C’è differenza a dirigere una compagine tutta femminile da una orchestra “normale”?

«La bacchetta comunica energia, dietro ci deve essere una intenzione musicale e dietro ancora le qualità musicali. Con gli uomini non incontro particolari resistenze, la bravura è “non andarci sotto come donna”, concentrarsi e quando alzi la bacchetta i bravi si dispongono a entrare in empatia. Con una compagine femminile il discorso è lo stesso. In più c’è la differenza di genere che crea la differenza nello stare insieme, la complicità, l’ascolto come spazio privilegiato, il dialogo, la sospensione del giudizio, il condividere le sensibilità, ma anche la sfida e un po' di caos».

Perché ha scelto di fare base a Pescara?

«Pescara, come l’Abruzzo tutto, ha tanti talenti e tanta storia. Magari, la difficoltà è fare rete e potenziarsi l'un l'altro. A Pescara serve un teatro. Si crede sempre meno nella cultura, non si capisce che invece va recuperata perché è l’identità di un Paese, porta consapevolezza civile. E fa crescere la meritocrazia». 

Cosa fa quando non suona?

«Lavo i piatti, e credo che Muti non lo abbia mai fatto (ride).

 
(Lalla D'Ignazio - Il Centro)

 

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