Eccellenze d'Abruzzo: il vino cotto
Il vino cotto è oggi riconosciuto come uno dei prodotti agroalimentari tradizionali di eccellenza anche dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Per la tutela e salvaguardia di questo pregiato elisir è nata l’Associazione produttori Vino Cotto d’Abruzzo, con il contestuale riconoscimento di un preciso disciplinare per la preparazione del vino cotto.
Il vino cotto è stato anticamente introdotto nei territori dell’Italia Centrale dai Greci i quali utilizzavano questa tecnica di produzione che, partendo dalla cottura del mosto delle uve autoctone prodotte dalle alberate (metodo di allevamento della vite con utilizzo degli Aceri o alberi da frutto anziché degli attuali pali in legno o cemento) effettuavano la cosiddetta interzatura, ovvero la riduzione a caldo del volume di un terzo del mosto iniziale, ottenendo un prodotto che messo poi in botti di legno subiva una lenta fermentazione e successivamente l'invecchiamento.
Questo procedimento rendeva il vino meno acido e quindi poco soggetto a trasformarsi in aceto. Quando il raccolto era peggiore del solito o quando il proprietario del terreno sceglieva l'uva migliore e lasciava al contadino quella più rovinata, questi, per non rischiare di rimanere senza vino, facendo ricorso alle sue migliori risorse ed alla sua creatività, riusciva a bere per tutto l'anno un vino forse migliore di quello del padrone. Nella storia antica i Greci indicavano l'Italia con l'appellativo di "Enotria" ovvero "Terra del Vino"; infatti, certe produzioni di élite venivano osannate da Plauto (191 A.C) che riteneva il vino cotto la più ricercata delle bevande, consigliandolo in ogni banchetto. Oltretutto egli, da esperto del settore, definiva il metodo di preparazione "un'opera di ingegno". Secondo gli storici, il condottiero cartaginese Annibale, nella guerra punica contro i Romani, fece sosta ad Atri dove rifocillò i propri cavalli ed uomini con del vino cotto. Molto apprezzato, nel 1534, anche dal Papa Paolo III che lo definiva come "una grande cosa".
La prima sperimentazione in Abruzzo di questo nuovo tipo di vinificazione fu fatta nel territorio teramano (in particolare nei comuni di Bisenti, Cermignano e Basciano) e in tale opera viene sottolineata la grande qualità che tale prodotto assume con il trascorrere degli anni.
Il vino cotto è ottenuto dalla pigiatura di uve locali, nello specifico il Montepulciano, ridotte in mosto che viene poi cotto nel “caldaro”, che in realtà è un grande calderone di rame, con l'avvertenza, tramandata dalla tradizione, di porvi una verga di ferro nudo per impedire al rame del caldaro di passare in soluzione. La verga di ferro si tiene fino a che il mosto non si sia scaldato. In tale recipiente il mosto viene cotto a fuoco vivo fino a quando l'evaporazione non porti il contenuto a ridursi di una quantità variabile tra un terzo e un mezzo di quella iniziale; la maggiore o minore concentrazione varia a seconda del grado zuccherino di partenza. Non appena raffreddato, il mosto concentrato viene "rimboccato" in caratelli di rovere ove è lasciato fermentare. A fermentazione alcoolica avvenuta è trasferito in un contenitore in cui è già presente il vino cotto degli anni precedenti; molto importante sarà un suo lento e lungo invecchiamento evitando forti ossidazioni. È proprio questo il punto più delicato ed importante della vinificazione: in questa fase è necessario calcolare il giusto dosaggio fra il vino cotto nuovo con quello vecchio ed effettuare una spillatura accorta, per evitare problematiche ossidazioni. Eventuali errori in queste operazioni potrebbero impedire il formarsi del profumo fruttato caratteristico della bevanda. Non è infrequente che il mosto concentrato e non ancora fermentato venga "rimboccato" direttamente nel vino cotto vecchio, ma tale pratica è rischiosa e riservata ai più esperti, in quanto essa rischia di compromettere il giusto dosaggio tra nuovo e vecchio, e di provocare con la fermentazione il sommovimento dei depositi contenuti nel recipiente e il temporaneo intorbidimento della bevanda.
L’invecchiamento del vino cotto ha una grande variabilità: si parte da un minimo di due anni, fino ad arrivare a tempi lunghissimi. La produzione abruzzese vanta anche delle qualità di un’età quasi centenaria. È il tempo infatti l’ingrediente principale di tale prodotto, perché il tempo gli dona una densità sciropposa, sapore abboccato, aromatico, lievemente amarognolo dal colore rosso cupo.
In Abruzzo, soprattutto nel territorio teramano si elaborano quattro maniere del vino cotto: conservato, crudo, semplice e crudo ritornato. Preparato ancora oggi anche in versione casalinga, un tempo era riservato al festeggiamento di occasioni importanti come un matrimonio: se si sposava un figlio, il vino cotto che veniva gustato era quello preparato nell’anno della sua nascita.
Anche per questo prodotto vale la regola del sapersi ingegnare e dell’arte del recupero degli scarti. Accadeva che, quando il raccolto non era ottimale, il proprietario del terreno teneva per sé l’uva migliore, lasciando al contadino quella più rovinata. Come la storia abruzzese insegna, grazie alla bravura e all’ingegno, ancora una volta il povero è riuscito ad ottenere un prodotto migliore di quello del ricco.
Recentemente la Facoltà di Agraria dell’Università di Teramo ha pubblicato i risultati condotti sullo studio ed analisi del vino cotto riconoscendo, scientificamente, l’alto potere antiossidante di questo prodotto dovuto proprio alla caramellizzazione degli zuccheri durante la pastorizzazione del mosto.